Il respiro delle correnti. O sull’inesistenza del tempo.

Da dove viene questo cielo azzurro e perfetto? Da quale segreto angolo d’oceano arrivano queste nubi molli e languide? Chi ha osato creare tanta bellezza? Chi chiede ogni giorno al vento di far danzare le chiome gialle e verdi delle palme rendendole così ancor più aggraziate e ancora più benedette?
Buona e crudele fu la sua mano. Magnanima e beffarda la sua opera. Tutto scivola via come sabbia tra le mani. Tutto scorre al ritmo delle piccole onde delicate sulla battigia.
Lenta scorre l’oziosa domenica, lenta ma inesorabile scivola via. Il sole si fa grande, arancione, poi rosso. Infine con uno scatto improvviso si tuffa a picco nel mare ed è già notte.

Una notte seduti a schiacciare le zanzare e a bere birra calda nell’afa della selva parlammo con un americano del tempo. Bob si chiamava quel ragazzone obeso dallo sguardo buono che fumava una sigaretta dietro l’altra sudando come una fontana e lisciandosi regolarmente la barba ispida con le grandi mani. Dal buio della foresta giungeva una strana sinfonia di rumori. Bisbiglii soffocati, frusciare di foglie, frinire d’insetti. Tutto s’amalgamava nell’aria densa e molle.
Il presente non esiste. Ogni esperienza sensoriale che arriviamo a percepire si trova in realtà già nel passato. Ogni altro fenomeno è per noi inimmaginabile in quanto si situa in un futuro impossibile da prevedere. Ma che non per questo non esiste, anzi è già in corso.
Ma è possibile muoversi attraverso questa dimensione (il tempo) ad una velocità diversa rispetto a quella che noi consideriamo normale? Oppure, è possibile muoversi in direzione diversa rispetto a quella consueta, quella che ci appare naturale: passato-presente-futuro?
“Certo” disse Bob, “gli uomini del futuro lo fanno già. La loro società è impegnata in una campagna di riscrittura della storia per cui inviano scienziati nella nostra epoca o in epoche precedenti per compiere missioni, per realizzare eventi che cambieranno la storia futura. Futura per noi ma che per loro è il presente.”

Il cielo sopra di noi era trapuntato di stelle. Una immensa luna piena rischiarava il piccolo prato davanti a noi. Anche quella luce arrivava dal passato.

S. Agostino disse che il tempo è una estensione dell’anima.
Einstein disse che il tempo è relativo.

Tra i tanti misteri della vita ho sempre trovato che lo scorrere del tempo fosse il più doloroso e il più crudele.
L’idea che ogni sensazione, ogni cosa, ogni momento debbano finire e che non abbiamo nessuna possibilità, nessun mezzo per arrestare questo processo mi ha sempre profondamente depresso. Mi è sempre parsa una punizione troppo severa anche per il più grave dei peccati.
Vi sono momenti della mia vita che mi piacerebbe rivivere, altri che vorrei modificare ma questo è impossibile. Vorrei a volte poter rallentare lo scorrere indiavolato del tempo, altre volte vorrei poter far passare in fretta minuti che sembrano secoli. Ho l’impressione di venir trascinato via, senza alcun appiglio, come una foglia trasportata da una corrente impetuosa. Il meglio che posso fare è tenere la testa fuori dall’acqua e approfittare di quel poco che riesco a scorgere mentre scorre rapido davanti ai miei occhi meravigliati. Poi nello spazio di un attimo tutto scompare.

Il sole immobile, il mare verde chiaro, la sabbia come talco. Mi chiedo se esistano giorni diversi qui. Come può la gente rendersi conto dello scorrere del tempo se ogni giorno è assolutamente uguale al precedente?
M’immersi nell’acqua lentamente e lasciai il mio corpo abbandonarsi al lento movimento del mare. Mentre fluttuavo liquido come l’acqua fresca e trasparente guardavo le nubi bianche e pannose scorrere verso l’orizzonte lontano e poi arrestarsi componendo un enorme castello spumoso. In quegli attimi mi resi conto che il tempo non scorreva più. Tutto rimase immobile, intatto. Come in un diorama. Anche le onde del mare, anche i raggi del sole, anche il tremito lieve delle palme. Tutto si fermò. Durò solo un battito di ciglia o un palpito del mio cuore, non so. Per quel che ne sapevo avrebbe potuto essere un eternità.

Un giorno di sole cocente passato all’ombra precaria delle mangrovie ebbi una sorta di rivelazione.
Un forte temporale, il primo segnale che la stagione delle piogge era in arrivo, aveva smosso i fondali sabbiosi. Attorno alla riva l’acqua era di un colore tra il giallo e il verde che sfumava nell’azzurro dove il fondale diveniva più profondo. Osservavo un pellicano compiere ampi cerchi nel cielo e poi tuffarsi nell’acqua bassa, rimanere alcuni istanti a galleggiare e infine riprendere il suo volo circolare, tuffarsi di nuovo e così via. Come mosso da un meccanismo automatico, come regolato dalle molle di un orologio.

Non so se fu l’atmosfera irreale che circondava quell’angolo sperduto di spiaggia invasa dalle mangrovie, il colore impossibile del mare o il ripetersi infinito dei movimenti del pellicano ma mi accorsi che per la mia mente, per il mio essere, il tempo non esisteva più. Se normalmente percepivo il tempo come un fiume in piena, che fluisce rapido e rabbioso, in quegli istanti mi sembrava più il lento colare, su un piano solo leggermente inclinato, di una sostanza densa, oleosa, che fatica a muoversi.

Il mio personale orologio si era regolato su una velocità diversa. Quanto durò ora non riesco a dirlo. Quante volte il pellicano si tuffò nell’acqua per poi riprendere il suo volo circolare non lo ricordo. Infinite volte sarei tentato di rispondere ma so che non è così. Eppure fu solo l’arrivo di enormi cumulonembi gonfi di pioggia, arrivati da chissà dove e trasportati da chissà quale forza, che interruppero quella stasi, quell’immobilità. Quel pomeriggio caldo sull’Isla Holbox, il volo di un pellicano aveva causato una dilatazione, una frattura nello scorrere incessante del tempo.

Pochi giorni dopo camminavo su una spiaggia deserta lungo il Golfo del Messico. Un forte vento sollevava manciate di sabbia gettandomele addosso con violenza. La linea del bagnasciuga era disseminata di conchiglie, pesci morti, alghe e rifiuti di vario genere. Il mare era agitato da una forte risacca che trascinava verso il largo. Mentre entravo in acqua potevo sentire la forza dell’acqua che scorreva come un fiume in piena. Pensavo che forse era proprio da quella spiaggia che partiva la corrente calda che permette all’Europa di beneficiare di un clima relativamente tiepido. Quel grande fiume marino che, trascinato da forze invisibili e misteriose, convoglia enormi masse d’acqua calda e le spinge oltre migliaia di chilometri d’oceano, fino alle coste europee. In quel pomeriggio ventoso pensavo che il mio viaggio stava per finire e che anch’io avrei seguito lo stesso destino delle acque turbinanti attorno ai miei piedi: essere trasportato oltre l’oceano, lontano da questi luoghi e anch’io come le acque non avevo possibilità di scelta, il processo era in un certo senso inarrestabile. Mi vidi lontano da lì seduto da qualche parte a guardare il cielo cercando di ricordarmi che colore avesse esattamente il cielo di quel pomeriggio sopra una spiaggia sconosciuta sul Golfo del Messico. Mi vidi proiettato in un futuro che in un certo senso era già lì, esisteva già.

Uno starnazzare rauco spezzò l’incantesimo. Alzai gli occhi e vidi un gruppo di fenicotteri rosa in volo contro il cielo di smalto azzurro. Volavano in formazione triangolare, con quello che doveva essere il capo stormo in testa che emetteva richiami a intervalli regolari, a cui il resto del gruppo rispondeva immediatamente. Quasi a volersi accertare che tutti i membri fosseri sempre presenti e che continuassero a seguirlo. Li osservai allontanarsi verso le distese deserte dell’oceano, diretti chissà dove, finchè anche l’ultimo puntino rosa divenne invisibile. La corrente che danzava, che si muoveva ritmicamente come il respiro dell’oceano attorno ai miei piedi, mi aveva trascinato lontano, in un futuro a me sconosciuto ma che pertanto esisteva già e sul quale avevo potuto gettare un rapido sguardo. I fenicotteri mi avevavo ripreso per i capelli e trascinato di nuovo al mio posto, al presente, in quel pomeriggio di vento mentre il sole di piombo iniziava già a calare verso l’orizzonte del mare.

Queste esperienze mi convinsero dell’esistenza di qualcosa che potrei chiamare macchine del tempo. Il volo circolare e ipnotico del pellicano, il respiro delle correnti e i richiami rochi dei fenicotteri avevano prodotto fratture, distorsioni nel continuum spazio-temporale. Qualcosa che ritenevo impossibile si era prodotto più volte nel giro di pochi giorni. Ero in qualche modo riuscito a infrangere una barriera che reputavo indistruttibile. Avevo, in una maniera un po’ bizzarra, compreso un po’ di più ciò che voleva dire Einstein quando affermò:
“For us physicists, the distinction between the past, the present, and the future is only an illusion”.
“Per noi fisici, la distinzione fra passato, presente e futuro è solo un’illusione”.

Una brezza invisibile faceva oscillare le palme e l’amaca su cui ero disteso. Nella notte fresca sotto un cielo nero e colmo di stelle le fregate volavano immobili, sospese sull’orlo delle correnti. Furono per un attimo la mia macchina del tempo. Grazie a loro fui trasportato lontano, viaggiai a lungo. Rivissi molte cose, fatti strani, avventure incredibili.
Rividi lo sguardo cupo e intelligente delle balene. Il movimento lento e quasi meccanico dell’enorme corpo dello squalo balena mentre nuotavo al suo fianco. Le piroette dei leoni marini, l’aria bollente di Teotihuacan, il sapore terroso del Mezcal e quello acido delle chapulines. Sentii il suono malinconico delle marimbas mentre cadeva la pioggia tiepida a Xochimilco, udii ancora una volta il ruggito delle onde a Puerto Escondido. Il movimento rapido delle piccole tartarughe marine, l’urlo delle scimmie urlatrici nella giungla, i sorrisi delle donne lacandone nelle loro tuniche a fiori. Camminai ancora nella nebbia che avvolgeva le pendici roventi del Volcan Pacaya o nella foschia che aleggiava tra gli alberi immensi della selva a Tikal. Mi immersi nelle acque viscose e dense come petrolio del lago di Peten Itza o in quelle fredde e trasparenti dei cenotes dello Yucatan. Parlai ancora con Fat Bob, con Gna Gna, con Isabela. E poi ancora il silenzio delle notti di Holbox, la passione di Cristo a San Cristobal, la pelle ruvida dei piccoli coccodrilli, il rosa spento dei fenicotteri, i richiami dei venditori ambulanti, la polvere del deserto della Baja California, il sapore dei molluschi appena pescati e conditi con salsa habanero…E poi ancora e ancora…
Quanto era durato tutto questo? Una vita, due mesi, solo un istante? Chi può dirlo…
Mi svegliai come da un sogno senza sapere esattamente quanto tempo fosse passato. Le fregate erano ancora là, immobili nel cielo. Punti neri nel cielo nero della notte tropicale. Ero stato lontano nello spazio e indietro nel tempo eppure non mi ero mosso. Solo ricordi? Oppure quello che sembra essere la legge immutabile e immodificabile dello scorrere del tempo è solo un’illusione?

Kurt Goedel, uno dei più grandi matematici del XX secolo e collaboratore di Einstein, ha scritto:
“Non è realistico pensare che il mondo consista di una serie di attimi indefinibili che, in rapida successione, appaiono e svaniscono dall’esistenza. E’ più realistico pensare che il passato ed il futuro esistono permanentemente”.
Tutto è per sempre, passato, presente e futuro sono, esistono, tutti insieme simultaneamente. E noi possiamo viaggiare in ogni direzione di questo tutto.
Era l’ultima sera del mio viaggio. Era il primo giorno della mia vita. Tutto ricominciava, tutto rimaneva sospeso. La notte tropicale si allungava all’infinito, il tempo non scorreva più eppure ci sarebbe stato un domani. Ma non aveva più importanza: il divenire non esiste. Le cose non nascono, non si trasformano, non muoiono; esse non esistono nel passato e non saranno nel futuro, semplicemente esse ‘SONO’.

www.mspagnolophotography.it

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